I cristalli di neve si formano nell’atmosfera quando il vapore acqueo si condensa, a temperature inferiori allo zero. Questi cristalli si creano intorno a un centro, costituito da un corpo estraneo, per esempio una particella di polvere microscopica, e crescono di volume con il progressivo aumento del vapore condensato. Anche le minuscole gocce d’acqua presenti nell’atmosfera possono contribuire alla crescita dei cristalli di neve. Generalmente i cristalli hanno forma esagonale, ma le variazioni nelle dimensioni e nella forma sono praticamente illimitate: i più comuni sono quelli a forma di piastra (fig. 26.1a), di colonna (fig. 26.1c) e quelli aghiformi (fig. 26.1d). La particolare forma che assumono dipende dalla temperatura dell’aria e dalla quantità di vapore acqueo presente.
Quando un cristallo di neve attraversa masse d’aria di diverse temperature e con un diverso contenuto di vapore acqueo, può assumere una struttura più complessa o combinarsi con altri cristalli. Se la temperatura dell’aria è vicina allo zero, i cristalli tendono a raggrupparsi e a formare i fiocchi di neve, che in pratica sono il risultato dell’aggregazione dei singoli cristalli.
Quando nell’aria sono presenti delle goccioline d’acqua, le molecole d’acqua si depositano sulla superficie del cristallo e gelano, formando delle particelle arrotondate, che costituiscono la neve pallottolare (fig. 26.1g) o grandine molle.
Quando i cristalli di neve salgono e scendono attraversando strati alterni di nuvole, con temperature al di sopra o al di sotto dello zero, si creano degli strati di ghiaccio sottile e di brina, e si combinano formando delle sferette di ghiaccio (fig. 26.1h). Il nevischio (fig. 26.10 è composto da gocce di pioggia ghiacciate o da fiocchi di neve che si sono sciolti e successivamente rigelati.
La densità della neve fresca dipende dalle condizioni meteorologiche. La regola generale che maggiore è la temperatura, più densa più pesante e bagnata è la neve. Tuttavia la densità varia ampiamente nella fascia di temperatura compresa tra -6 e 0 gradi. Anche il vento influisce sulla densità, perché durante le nevicate i venti forti scindono i cristalli in frammenti, che poi si raggruppano e formano una neve densa a grani fini: più forte il vento, più densa è la neve. Le precipitazioni di neve a bassa densità (più leggera e asciutta) si verificano in condizioni di freddo moderato e vento debole; a temperature estremamente rigide, la neve tende a essere fine e granulare, con densità leggermente superiore; le densità maggiori in genere sono associate ai cristalli di neve pallottolari o aghiformi, che cadono a temperature vicino allo zero.
La quantità di acqua (in forma solida o liquida) presente negli strati di neve ne determina la densità. Un alto contenuto di acqua significa che la maggior pane dello spazio è occupato da ghiaccio o acqua, con un basso contenuto di aria, causando una densità elevata. Nella neve fresca in genere il contenuto di acqua oscilla fra 1’1% e il 30%, con picchi a volte superiori; la media per le precipitazioni nevose in montagna è compresa fra il 7% e il 10%.
La neve e il ghiaccio sono soggetti a continue modifiche dello strato superficiale, dovute all’azione del vento, alla temperatura dell’aria, alla radiazione solare, ai cicli di gelo e disgelo e alla pioggia. Questa guida descrive gli strati superficiali più comuni. La tabella contiene una sintesi dei rischi presentati dai vari tipi di neve, con alcuni suggerimenti per una progressione sicura.
GALAVERNA: la galaverna è un tipo di neve che si forma a livello del suolo. Si tratta di un deposito denso color bianco-trasparente, formato dalle goccioline d’acqua che gelano sopra gli alberi, le rocce e altri oggetti esposti al vento. La galaverna può essere costituita da grossi fiocchi frastagliati o incrostazioni solide, ma in genere non presenta le forme tipiche dei cristalli. Si rompe facilmente, pertanto crea una crosta superficiale debole quando si forma sopra il manto nevoso e un ancoraggio inaffidabile quando copre la roccia o il ghiaccio.
BRINA: si tratta di un altro tipo di neve che si forma a livello del suolo. La brina si crea sugli oggetti solidi per il processo di sublimazione, cioè la conversione diretta del vapore acqueo dell’atmosfera nello stato solido. A differenza della galaverna, i cristalli che formano la brina hanno forme distinte, per esempio a lama, a spirale o a coppa; sono fragili e frastagliati, e luccicano alla luce del sole. Quando la brina si deposita sul manto nevoso viene chiamata brina di superficie, e in genere si forma nelle notti fredde e limpide. Un deposito abbondante di brina di superficie forma uno strato ottimale per sciare, con il tipico fruscio delle lame che slittano ad alta velocità.
NEVE POLVEROSA: è il termine popolare usato per indicare la neve soffice e leggera caduta di recente. Più specificamente, si tratta di neve fresca che ha perso parte della sua capacità di coesione perché la notevole differenza di temperatura fra il corpo centrale e le estremità dei suoi cristalli dendritici (ramificati) ha provocato una nuova cristallizzazione. Il risultato èun tipo di neve a bassa capacità di coesione e polverosa (costituita prevalentemente da aria). È la piattaforma ideale per lo sci da discesa e può favorire la formazione di valanghe di neve asciutta e a bassa coesione. Camminare su questo tipo di neve è difficile, a causa del fatto che i pesi sprofondano facilmente.
NEVE PRIMAVERILE: dopo la fusione dell’inizio della primavera, un periodo di bel tempo può portare alla formazione di grani grossi e arrotondati sulla superficie della neve. Questi cristalli si formano per alternanza di fusione e rigelo negli strati superficiali del manto nevoso per diversi giorni. Quando la neve primaverile si scioglie tutte le mattine, dopo il gelo notturno, è l’ideale per sciare e creare dei gradini con i piedi. Nelle ore successive della giornata, con il proseguimento del disgelo, la neve primaverile potrebbe diventare spessa e appiccicosa, rendendo più difficoltosa la progressione. Durante il pomeriggio, l’acqua prodotta dalla fusione potrebbe annacquare anche gli strati sottostanti, favorendo la formazione di valanghe di neve bagnata e a debole coesione, soprattutto se il manto viene sottoposto al carico di persone che scendono in scivolata oppure con gli sci, lo snowboard o la motoslitta.
NEVE MARCIA: è presente soprattutto nel periodo primaverile ed è caratterizzata da strati inferiori di neve molle e bagnata, che offrono uno scarso supporto agli strati superiori, più compatti. La neve marcia si forma quando gli strati inferiori costituiti da brina di profondità si bagnano, perdendo la poca resistenza che hanno. In molti casi questo porta alla formazione di valanghe di neve bagnata e a debole coesione o di valanghe di neve a lastroni, che scivolano a contatto con il terreno. I climi continentali, come quello delle Montagne Rocciose spesso producono neve marcia, mentre nei climi marittimi, come quello delle catene montuose delle coste del Pacifico, che in genere sono caratterizzate da un manto nevoso alto e denso, la presenza di neve marcia è meno frequente. Nella sua forma peggiore questo tipo di neve non è nemmeno in grado di sostenere il peso di uno sciatore. Un manto nevoso che al mattino costituisce una buona piattaforma per lo sci primaverile, grazie alla presenza di una crosta piuttosto resistente, nelle ore più calde del giorno potrebbe trasformarsi in neve marcia.
CROSTA DA RIGELO: si tratta di una crosta superficiale che si forma quando l’acqua che si scioglie sulla superficie della neve rigela e lega i cristalli in uno strato caratterizzato da una buona capacità di coesione. Le fonti di calore che provocano la formazione della crosta da disgelo sono l’aria calda, la condensazione sulla superficie della neve, la luce diretta del sole e la pioggia. La crosta solare è un tipo di crosta da rigelo che deve il suo nome alla principale fonte di calore che provoca la fusione. In inverno e all’inizio della primavera, lo spessore della crosta solare sulla neve asciutta in genere varia a seconda dell’intensità del calore del sole; spesso la crosta è così sottile che si rompe al passaggio di un escursionista o di uno sciatore, creando non poche difficoltà. A primavera inoltrata e in estate, quando all’interno del manto nevoso l’acqua scorre liberamente, lo spessore, in genere inferiore a 5 centimetri, dipende dalla rigidità della temperatura durante la notte.
La crosta da pioggia è un altro tipo di crosta da rigelo, che si forma dopo che l’acqua piovana si è infiltrata negli strati superficiali della neve. Scavando nella neve a volte l’acqua piovana forma delle piccole colonne simili a un dito, che fungono da elementi di fissaggio e tengono la crosta legata agli strati sottostanti dopo il rigelo. L’azione di fissaggio di molte croste da pioggia aiuta a rendere più stabile il manto nevoso, riducendo il pericolo di valanghe, e fornisce una piattaforma di cammino resistente, soprattutto nelle catene montuose costiere, dove le forti precipitazioni invernali sono molto comuni anche ad altitudini elevate. Le croste da pioggia che si formano sopra il ghiaccio possono essere molto scivolose e pericolose. La pioggia gela quasi sempre sopra ai ghiacciai, anche in estate, e questo ne rende l’attraversamento particolarmente rischioso dopo che ha piovuto.
LASTRONI DI NEVE VENTATA: dopo che gli strati superficiali di neve hanno subito l’azione del vento, inizia il processo di consolidamento. Quando i cristalli di neve frantumati dal vento si depositano, si compattano fra loro; successivamente il vento alza la temperatura, soprattutto per effetto della condensazione del vapore acqueo, portando alla fusione. Anche quando non c’è abbastanza calore da indurre la fusione, gli strati superficiali colpiti dal vento si scaldano, per poi raffreddarsi quando il vento cessa, consolidandosi per effetto del metamorfismo. Camminare sui lastroni è piuttosto facile, ma potrebbero crearsi delle fratture estese, e se i lastroni si trovano su uno strato debole o formano una cornice, l’aumento della sollecitazione può provocare la formazione di valanghe.
FIRNSPIEGEL: il sottile strato di ghiaccio trasparente che a volte si vede sulla superficie della neve in primavera o in estate si chiama firnspiegel (un termine tedesco che significa “spechio di neve”). In determinate condizioni di luce e di inclinazione, il riflesso del sole sul firnspiegel crea un effetto di particolare lucentezza. Il firnspiegel si forma quando i raggi del sole penetrano nella neve e causano la fusione proprio al di sotto dello strato superficiale, mentre sulla superficie la temperatura è intorno a zero gradi. Una volta formatosi il firnspiegel funziona come una serra: la neve sottostante si scioglie, mentre lo strato di ghiaccio trasparente sulla superficie rimane gelato. Il firnspiegel in genere è sottile come la carta e si rompe facilmente, ma senza causare grossi disagi all’escursionista in transito, a differenza di quanto avviene in caso di rottura della crosta solare.
VERGLAS: il verglas (un termine francese che significa “ghiaccio vetroso”) è uno strato di ghiaccio trasparente e sottile che si forma quando l’acqua piovana o prodotta dallo scioglimento della neve gela sulla roccia. In genere lo si incontra ad altitudini elevate, in primavera o in estate, quando il gelo segue al disgelo. Il verglas si forma anche quando le gocce di pioggia sopraffuse gelano dopo essersi depositate su oggetti esposti (pioggia gelata). Il verglas crea una superficie molto scivolosa e, come per il ghiaccio sulla strada, la sua formazione è difficile da prevedere.
CONCHE DI ABLAZIONE: sono delle cavità formate dal sole di profondità variabile, compresa fra 2,5 centimetri e circa un metro (fig. 26.2a). Dove il sole è caldo e l’aria è relativamente asciutta, la profondità delle conche in genere aumenta con l’incremento dell’altitudine e la diminuzione della latitudine. Sulla cresta della conca le molecole d’acqua scaldate dal sole evaporano, mentre all’interno della cavità rimangono intrappolate sulla superficie della neve, formando uno strato liquido che favorisce la fusione. Dal momento che la fusione richiede solo un settimo del calore necessario all’evaporazione, all’interno della cavità la neve si scioglie — facendo aumentare la profondità della buca — più rapidamente rispetto al tempo impiegato dalla cresta a evaporare. Quando il terriccio contenuto nella conca assorbe i raggi solari, la profondità aumenta ulteriormente per effetto della fusione differenziale. Nell’emisfero settentrionale le conche si sciolgono più rapidamente sui versanti meridionali (soleggiati), pertanto le sezioni del manto nevoso che presentano le conche di ablazione tendono a “migrare” verso nord.
I venti caldi e umidi distruggono le conche, accelerando la fusione nei punti più alti e sui bordi. Un temporale estivo prolungato, associato a nebbia, vento e pioggia, le elimina completamente, ma solo fino al ritorno del tempo bello e asciutto, quando ricominciano a formarsi. Sciandoci sopra potreste “inciampare” in uno spigolo, soprattutto se la neve è dura e gelata, dopo l’abbassamento della temperatura nelle ore notturne. L’irregolarità della superficie rende difficoltosa la salita, mentre la discesa è un po’ più facile se si “pattina” all’interno delle buche.
NIEVES PENITENTES: quando le conche di ablazione crescono, si trasformano in nieves penitentes (un’espressione spagnola che significa “penitente di neve”). Le nieves penitentes sono dei pilastri di neve che si formano quando le conche di ablazione diventano molto profonde, trasformando le creste in vere e proprie colonne di neve che sembrano delle statue in preghiera (fig. 26.2b). Si trovano ad alta quota, dove la radiazione solare e le condizioni atmosferiche sono particolarmente favorevoli alla formazione delle cavità di ablazione. Spesso le colonne di neve sono inclinate verso il sole di mezzogiorno. Le nieves penitentes sono particolarmente sviluppate fra gli alti picchi delle Ande e dell’Himalaya, dove possono raggiungere diversi metri di altezza e rendere la progressione molto difficoltosa.
CANALI DI SCOLO: dopo che la fusione è iniziata, in primavera, l’acqua che defluisce crea dei canali di scolo sui nevai. In realtà il flusso avviene all’interno del manto nevoso, non sulla superficie: quando la neve superficiale si scioglie, l’acqua penetra nel manto finché non incontra degli strati impermeabili, che ne deviano il corso, o degli strati molto permeabili, che può facilmente oltrepassare. Gran parte dell’acqua raggiunge il suolo sottostante. Scorrendo all’interno del manto nevoso l’acqua spesso crea una ramificazione di canali, visibili anche in superficie; questo accade perché il flusso dell’acqua accelera la stabilizzazione della neve intorno ai canali, in corrispondenza dei quali sulla superficie si formano delle depressioni, che ne seguono il tracciato. Il fango che si deposita in queste depressioni assorbe i raggi solari, causando la fusione differenziale, che ne aumenta la profondità.
Sui pendii i canali di scolo scorrono verso valle, formando una successione di creste parallele che rendono difficile curvare, in scivolata o con gli sci, mentre in piano creano una superficie a fossette, simili alle cavità di ablazione ma leggermente più arrotondate. La presenza di fossette o canali indica che nel manto nevoso è penetrata un’elevata quantità d’acqua; se le fossette o i canali sono gelati, significa che il manto è piuttosto stabile. Tuttavia, se si sono formati di recente e sono ancora molli, la stabilità potrebbe essere compromessa dall’infiltrazione dell’acqua prodotta dalla fusione, che potrebbe raggiungere uno strato fragile, indebolendolo ulteriormente.
SASTRUGI E BARCHAN: quando la superficie della neve secca è soggetta all’azione erosiva del vento, si creano delle formazioni nevose irregolari di vario tipo, simili a increspature. Queste particolari formazioni assumono dimensioni considerevoli sulle creste elevate e su terreno pianeggiante e privo di alberi, dove l’azione del vento è particolarmente intensa. Le più caratteristiche sono i sastrugi (una parola russa che significa “scanalatura”), i quali hanno la forma di un’onda che si infrange nella direzione dei venti prevalenti (fig. 26.2c). Un nevaio di sastrugi, duri, poco cedevoli e alti anche oltre un metro, può rendere difficile la progressione.
Su una superficie piana e priva di rocce o di alberi i venti forti possono creare delle vere e proprie dune, simili a quelle che si trovano nei deserti di sabbia; quelle più comuni sono i barchan. Queste formazioni nevose rigide e irregolari rendono difficile la progressione, soprattutto quando sono intervallate da ghiaccio o terreno roccioso.
CORNICI: le cornici sono dei depositi di neve che si formano sul lato sottovento di una cresta, di un pinnacolo odi una falesia (fig. 26.3). La neve che costituisce le cornici può essere portata dalle tempeste, oppure trasportata dal vento, che la solleva dai nevai dei versanti sopravento. In genere le cornici formatesi durante le tempeste di neve sono più soffici di ‘quelle plasmate dal vento. Queste formazioni nevose sono particolarmente pericolose, perché sono strapiombanti e costituiscono una massa instabile e sospesa nel vuoto, che può rompersi per cause naturali o per l’intervento dell’uomo. Camminare su una cornice è pericoloso; l’eventuale crollo rappresenta un rischio enorme anche per chi si trova sotto, e ò scatenare una valanga.
Luca Mattiello è un appassionato della montagna e uno specialista dell'attrezzatura necessaria per esplorare e affrontare le sfide di questo ambiente unico. Con una profonda passione per l'avventura all'aperto e una vasta conoscenza delle tecniche di escursionismo, alpinismo e trekking, Luca si dedica a condividere le sue esperienze e conoscenze.