Con il passare del tempo la neve che rimane al suolo cambia e si trasforma. I cristalli subiscono un processo di trasformazione, chiamato metamorfismo, al quale in genere seguono la formazione di grani più piccoli e di forme meno articolate, l’assestamento e il consolidamento del manto nevoso. Il metamorfismo inizia nel momento in cui la neve cade e continua fino allo scioglimento completo. Poiché il manto nevoso si modifica continuamente nel tempo, gli alpinisti ritengono che sia utile conoscere la storia recente di una zona, con riferimento alle condizioni meteorologiche e nivologiche, in modo da poter valutare la stabilità del manto.
Uno dei processi di trasformazione della neve, chiamato metamorfismo distruttivo, converte gradualmente i cristalli di neve originali in grani di ghiaccio omogenei e arrotondati (fig. 26.4); la velocità della trasformazione dipende sia dalla temperatura sia dalla pressione. Quando la temperatura all’interno del manto nevoso è vicina al punto di solidificazione (0 °C) il processo è rapido; più bassa è la temperatura, più lenta è la trasformazione, che virtualmente si interrompe a —40 gradi. La pressione dovuta al peso delle nuove precipitazioni accelera la trasformazione negli strati più vecchi. La neve che ha subito il processo di invecchiamento, cioè che è sopravvissuta almeno un anno, e i cui cristalli originali sono stati tutti trasformati in grani di ghiaccio, si chiama firn. Qualunque trasformazione successiva del firn porta alla formazione dei ghiacciai.
Un altro tipo di metamorfismo, quello costruttivo, avviene quando il vapore acqueo si trasferisce da una parte all’altra del manto nevoso, per effetto della diffusione del vapore, depositando cristalli di ghiaccio diversi da quelli del manto nevoso originale. Questo processo di trasformazione crea dei cristalli sfaccettati (fig. 26.5); una volta terminato, spesso i cristalli hanno una forma cava a calice, sono stratificati, e sono cresciuti notevolmente di volume (fino a 2,5 centimetri circa). Il metamorfismo costruttivo è responsabile della formazione di una struttura fragile, chiamata brina di profondità, che perde la sua resistenza quando viene sottoposta a sollecitazione e diventa molto molle e debole quando è bagnata. Questo strato di neve instabile e a debole coesione viene chiamata comunemente “neve zuccherosa”, quando è asciutta, e “neve marcia” quando è bagnata. Le condizioni necessarie alla formazione della brina di profondità sono una notevole differenza di temperatura fra profondità diverse del manto nevoso (gradiente termico) e una quantità di aria sufficiente a consentire la diffusione del vapore, e in genere si incontrano all’inizio dell’inverno, quando il manto nevoso è poco profondo e instabile.
Oltre a subire le trasformazioni dovute alle variazioni della temperatura e della pressione, la struttura della neve può cambiare anche per effetto di mezzi meccanici, come il vento. Le particelle di neve formate dal vento o da altri mezzi meccanici subiscono un processo, chiamato indurimento per invecchiamento, che dura per diverse ore dopo l’intervento del fattore meccanico esterno. L’indurimento è la ragione per cui è più facile muoversi sulla neve se si segue un sentiero precedentemente tracciato a piedi, con gli sci o lo snowboard o la motoslitta.
La variazione del grado di resistenza del manto nevoso è una delle variazioni più significative fra quelle che avvengono in natura: la neve fresca è costituita per il 90% da aria, e i singoli grani slegati la rendono una sostanza soffice e fragile, che si rompe facilmente. Al contrario, nella neve vecchia compattata dal vento in alcuni casi il contenuto di aria è inferiore al 30%, e i frammenti che la costituiscono formano dei forti legami, che possono creare degli strati fino a 50.000 volte più resistenti di quelli che caratterizzano la neve soffice e fresca. I valori intermedi fra questi due estremi e i continui cambiamenti del grado di resistenza, dovuti alle variazioni della temperatura, della pressione e dell’intensità del vento. giustificano l’estrema variabilità del manto nevoso da un punto all’altro, ora dopo ora.
LA FORMAZIONE DEI GHIACCIAI
I ghiacciai si formano per una ragione piuttosto semplice. La neve che non si scioglie né evapora nel corso dell’anno resiste fino all’inverno successivo. Se l’accumulo di neve continua anno dopo anno, consolidandosi e iniziando un lento movimento verso valle, si forma un ghiacciaio.
All’interno del manto nevoso vecchio, il firn, la trasformazione dei cristalli di neve in grani di ghiaccio è stata completata, con un processo chiamato firnificazione. Il firn si trasforma in ghiaccio quando gli spazi d’aria fra i vari grani vengono riempiti, in modo che la massa diventi a tenuta d’aria (fig. 26.6).
In primavera, quando negli strati inferiori del manto nevoso la temperatura è ancora al di sotto dello zero, l’acqua prodotta dalla fusione che è penetrata nel manto rigela non appena li raggiunge. Questa acqua di scioglimento rigelata forma degli strati di ghiaccio all’interno del firn. Pertanto, quando il consolidamento e il metamorfismo hanno preparato un’intera zona di firn alla conversione in ghiaccio, in realtà il firn potrebbe già contenere delle particelle irregolari di ghiaccio.
Il metamorfismo non cessa nemmeno dopo che il ghiaccio è definitivamente formato: alcuni grani di ghiaccio continuano a crescere a
spese dei loro vicini, e la dimensione media dei cristalli di ghiaccio aumenta progressivamente con il tempo (fig. 26.7). I ghiacciai di grandi dimensioni, nei quali il ghiaccio impiega dei secoli a raggiungere il piede del ghiacciaio, possono produrre dei cristalli di oltre 30 centimetri di diametro, degli esemplari enormi formati da minuscole particelle di neve.
Per capire come si forma un semplice ghiacciaio vallivo di tipo alpino, provate a immaginare una montagna priva di ghiacciai situata nell’emisfero settentrionale; supponete che in quell’area si verifichino dei cambiamenti climatici, a causa dei quali la neve rimane, anno dopo anno, in un punto riparato esposto a nord; sin dall’inizio la neve inizia a scendere verso valle con un movimento molto lento, chiamato scorrimento; ogni anno si aggiungono dei nuovi strati, la zona del firn diventa sempre più grande e profonda, e la quantità di neve in movimento aumenta; durante i ripetuti processi di fusione e rigelo la neve che scorre porta con sé terra e roccia, e il flusso di acqua intorno e al di sotto dell’area innevata modifica ulteriormente la struttura del terreno circostante; questo modesto processo di erosione porta alla formazione di una cavità, nella quale si depositano le nevi invernali. Quando la neve accumulata supera la profondità di 30 metri circa, la crescente pressione dei numerosi strati superiori di firn provoca l’inizio della trasformazione degli strati inferiori in ghiaccio, creando il ghiacciaio.
Il ghiacciaio, costantemente alimentato dalle nevi invernali, scorre verso valle come un fiume di ghiaccio. A un certo punto del suo percorso raggiunge un’altitudine alla quale l’elevata temperatura impedisce l’ulteriore accumulo di neve, e incomincia a sciogliersi. Alla fine il ghiacciaio raggiunge un punto, ancora più basso e più caldo, nel quale tutto il ghiaccio che proviene dall’alto si scioglie, anno dopo anno: questo è il limite inferiore del ghiacciaio.
Il movimento dei ghiacciai è molto variabile: si passa da masse quasi stagnanti a veri e propri fiumi di ghiaccio, che ogni anno trasportano grandi quantità di neve verso valle. Nei climi relativamente temperati i ghiacciai scorrono sia per effetto della deformazione interna, sia in seguito allo scorrimento sul proprio letto. Le variazioni nella velocità di scorrimento seguono delle regole analoghe a quelle dei fiumi: la velocità è superiore al centro e in superficie e minore ai margini e sul fondo, dove il letto roccioso fa attrito. I piccoli ghiacciai polari hanno un aspetto molto diverso da quello dei loro cugini dei climi temperati, perché sono gelati fino alla base e scorrono solo per effetto delle deformazioni interne. I ghiacciai polari sembrano un liquido denso che scorre, mentre quelli dei climi temperati assomigliano a dei fiumi di ghiaccio rotto.
Crepacci
I crepacci sono delle grosse fenditure che si formano nei ghiacciai, quando il ghiaccio che li costituisce viene sottoposto a una sollecitazione superiore a quella che può sopportare. Vicino alla superficie del ghiacciaio, dove il ghiaccio sta iniziando a formarsi, ci sono numerose crepe e i legami fra i cristalli sono deboli. Se il ghiaccio si allunga o si piega troppo in fretta, potrebbe rompersi, sgretolandosi come vetro. Il risultato di questo processo è la formazione del crepaccio.
In genere i crepacci hanno una profondità compresa tra i 25 e i 30 metri. A profondità superiori gli strati di ghiaccio sono più resistenti, con cristalli progressivamente più grandi e legami più forti. Quando questi strati profondi vengono sottoposti a forti carichi, la pressione esercitata li schiaccia ulteriormente, facendoli scorrere e deformandoli come miele appiccicoso. A temperature più rigide – ad altitudini elevate o nelle zone polari – i crepacci possono raggiungere anche profondità maggiori, perché il ghiaccio freddo è più fragile e tende a rompersi più facilmente.
Nei climi temperati in genere i crepacci sono più numerosi e meno profondi rispetto alle regioni polari, perché in queste aree i ghiacciai tendono a spostarsi più rapidamente. Quando lo scorrimento è molto rapido, per esempio in presenza di un precipizio, si formano delle cascate di ghiaccio, provocate da fratture molto grandi. I numerosi crepacci tendono a unirsi, isolando delle colonne di ghiaccio, chiamate seracchi.
Valanghe di ghiaccio
Le valanghe di ghiaccio possono cadere dai ghiacciai sospesi, dalle cascate di ghiaccio o dalle porzioni dei ghiacciai coperte da seracchi. Il loro distacco è provocato da una combinazione di fattori: i movimenti del ghiacciaio, la temperatura e la presenza di seracchi. Sui ghiacciai di bassa quota, dove la temperatura è elevata, le valanghe di ghiaccio sono più frequenti alla fine dell’estate e all’inizio della primavera, quando l’acqua di disgelo si è accumulata in quantità sufficiente da scorrere al di sotto del ghiacciaio e favorirne lo spostamento. Sui ghiacciai d’alta quota, che a causa delle basse temperature sono gelati fino al letto roccioso, l’attività delle valanghe non segue lo stesso ciclo stagionale.
Per quanto riguarda l’ora del giorno in cui le valanghe di ghiaccio sono più frequenti, le opinioni sono discordanti. Chi effettua osservazioni sul posto sostiene che si verificano più spesso nel pomeriggio; questo potrebbe essere possibile in una zona di seracchi coperti di neve, se nelle ore più calde la neve si ammorbidisce al punto da cadere nei seracchi e provocarne il crollo, formando una valanga di ghiaccio. Tuttavia, gli scienziati hanno rilevato un incremento dell’attività al mattino presto, quando il ghiaccio è freddo e più fragile. Il distacco delle valanghe di ghiaccio può comunque avvenire in qualunque periodo dell’anno e a qualunque ora del giorno e della notte.
Luca Mattiello è un appassionato della montagna e uno specialista dell'attrezzatura necessaria per esplorare e affrontare le sfide di questo ambiente unico. Con una profonda passione per l'avventura all'aperto e una vasta conoscenza delle tecniche di escursionismo, alpinismo e trekking, Luca si dedica a condividere le sue esperienze e conoscenze.